martedì 23 settembre 2008

Non un'occasione mancata, un pericolo scampato!

Letto attentamente l’articolo del dottor Enzo Vitale su strill.it, relativo alla Centrale a Carbone, secondo lui “occasione persa”, ho ritenuto di intervenire per ribadire che secondo me e le centinaia di persone che in questi giorni si sono mobilitate e stanno firmando per il “NO al Carbone ed il SI ad un programma alternativo di sviluppo”, si tratta invece di uno “scampato pericolo” che avrebbe rappresentato l’ennesima e stavolta definitiva “mazzata” per il territorio non solo dell’Area Grecanica, ma di tutto il comprensorio, Area dello Stretto inclusa.

Mi permetto di osservare che il “prezzo” che il territorio avrebbe pagato, non è, come viene affermato, relativamente limitato, se si considera che aria, terra e mare risulterebbero seriamente compromessi dalle emissioni, per non parlare delle ricadute sulla salute dei residenti. E mentre questi che sono degli effetti riscontrabili in itinere ed ex post in questo momento non possono essere dimostrati, c’è una certezza, questa si ex ante, e cioè che il cosiddetto “carbone pulito” non esiste e su questo il professor Rubbia, se in Italia il parere di un premio Nobel conta qualcosa, è stato chiarissimo. Perciò nel dubbio, meglio rifiutare proposte di questo genere.

Certo dottor Vitale, il problema della disoccupazione è grave e sentito, soprattutto nella nostra misera area del melitese, ma credo che nessuno può barattare qualche posto di lavoro con la propria salute e quella dei propri figli. Le ricadute occupazionali previste dalla società proponente non sono veritiere perché si ipotizza un indotto, diretto ed indiretto, che mai, nella storia delle centrali termoelettriche è stato registrato. E’ risibile l’ipotesi che incrementerà il turismo e con esso la ricchezza indotta. Caso mai si deprezzerà il patrimonio edilizio e cadrà verticalmente la qualità ambientale che risulta già fortemente deficitaria. Gli investimenti? E’ vero, la SEI dice che investirà 1 miliardo di Euro circa.
Andiamo a vedere come verrebbero spesi e capiremo le ricadute economiche sul territorio. (tabelle presentate da SEI in Conferenza dei Servizi al Ministero)

Investimento complessivo ± 1 Mld di € così distribuiti:
· ± 650 Milioni di € (65%) per Forniture Elettromeccaniche (si riforniranno a Saline? A Melito? A Reggio?)
· ± 160 Milioni di € (16%) per Montaggi Elettromeccanici (si serviranno delle nostre ditte o di ditte specializzate?)
· ± 20 Milioni di € (2%) per Ingegneria e Supervisione (quindi i loro tecnici)
restano
· ± 170 Milioni di € (17%) per Lavori Civili (quali la costruzione di capannoni, ciminiere, strade interne e pontili).

Questi numeri, forniti da SEI, lasciano ben capire come l’investimento sarebbe di 1 miliardo, ma sul territorio resterebbero solo le polveri sottili, quelle stesse che hanno costretto i sindaci dei Comuni intorno alla Centrale a Carbone di Brindisi Sud ad emanare un’ordinanza, lo scorso anno, per la distruzione totale dei raccolti agricoli in un raggio di circa 30 km.

Bene hanno fatto dunque la Regione Calabria, la Provincia ed i sindaci ad opporsi alla realizzazione di questa Centrale e non è stata un’opposizione pregiudiziale, è una scelta, fatta durante la scorsa legislatura, in cui la Giunta di centro-destra, guidata da Chiaravalloti, ha approvato il PEAR (Piano Energetico Ambientale Regionale) che fa “divieto assoluto su tutto il territorio regionale dell’utilizzo del carbone per alimentare centrali per la produzione di energia elettrica” (e meno male).

Noi chiediamo alla Regione di chiudere la partita definitivamente formalizzando il parere negativo con la delibera di giunta che è stata richiesta in Conferenza dei Servizi e di farlo nell’immediato perché il fatto che SEI abbia sospeso repentinamente l’iter autorizzativo, non vuol dire che abbia rinunciato a provarci. La nostra mobilitazione continua, la nostra raccolta di firme prosegue ed inizia la nostra “pressione” sulla Regione affinchè approvi subito la delibera e ponga la parola fine a questa vicenda. Certamente a questo territorio non può e non deve bastare che la Regione abbia detto NO al Carbone.

La nostra battaglia non si conclude con l’aver chiuso le porte in faccia alla SEI, noi pretendiamo che per quell’Area, dimenticata per quarant’anni, come lei giustamente dice, venga predisposto un programma di interventi alternativo e che nel breve tempo venga avviata la sua realizzazione, scongiurando l’opzione zero, cioè che tutto resti così (scheletri industriali abbandonati e degrado ambientale) ed evitando che, tra altri dieci anni, una bella mattina di fine primavera, si possano ripresentare ai protocolli dei Comuni dell’Area Grecanica, dei signori distinti, ben vestiti, con corposi fascicoli sotto braccio, un sorriso di circostanza stampato sul volto e propongano nuovamente improbabili progetti industriali. Il Comune di Montebello Jonico è stato chiaro. Il sindaco ha affermato che già da tempo sono decaduti i vincoli dell’ASI e di aver dato incarico per la redazione del Piano Strutturale Comunale, strumento che cambierà, una volta per tutte, la destinazione d’uso di tutta l’area della ex-liquichimica.

Concludendo vorrei riprendere il discorso su Kurt Lewin attraverso cui il dottor Vitale, credo, abbia voluto affermare l’inadeguatezza dei nostri amministratori in tema di problem solving. Ebbene sono lieto che i nostri amministratori, sulla spinta delle Associazioni, non va dimenticato, abbiano posto resistenza al progetto (ecco “resistenza” è una parola che apprezzo più di “integralismo”) e sono certo che abbiano valutato il progetto, ponendosi nel giusto “campo di osservazione”, posizione che la portati a concludere che il saldo tra i costi ed i benefici, sarebbe stato abbondantemente negativo.

(*)Vicepresidente Circolo Culturale Nuovi Orizzonti – Melito di Porto Salvo

1 commenti:

Mario Alberti ha detto...

noi "noisti" conosciamo bene il problem solving, e di fatto abbiamo applicato tale metodologia alla nostra grande battaglia. Chi ha pazienza, continui a leggere.

Problem Solving significa letteralmente “risolvere problemi”. Il termine, nato in ambito matematico, si è diffuso negli ultimi anni in riferimento alle abilità e ai processi implicati nell’affrontare problemi di qualsiasi tipo, da quelli pratici a quelli interpersonali o psicologici.
Oggi il Problem Solving viene insegnato e applicato con successo in vari ambiti, ad esempio, in azienda e nel counselling come metodo di lavoro per migliorare la capacità di risolvere i problemi.
Anche se gli strumenti di Problem Solving si differenziano a seconda delle diverse aree di applicazione, i principi di base rimangono gli stessi.
Si potrebbe obiettare che risolvere problemi e inventare soluzioni siano attività quotidiane di tutti. Alcuni danno perfino l’impressione di riuscire a cavarsela in qualsiasi circostanza.
Capita però che certi problemi siano particolarmente complessi, oppure che le conoscenze e le esperienze passate sedimentino in noi presupposti sbagliati, pregiudizi che ci ostacolano nella ricerca della soluzione. Altre volte ancora siamo così assorbiti dal nostro malessere da non riuscire a focalizzare il vero problema.
In tutti questi casi diventa utile applicare un metodo che ci aiuti a inquadrare correttamente i problemi e a trovare soluzioni creative e realistiche, riducendo al minimo stress, contrasti, stallo o pericolo di rinuncia.
Un problema è un invito al cambiamento per raggiungere i nostri obiettivi
Un problema esiste quando c’è un ostacolo al raggiungimento di un obiettivo.
Un esempio: stiamo percorrendo una strada di montagna con la nostra auto. Ad un tratto incontriamo un albero caduto che ci sbarra la via. Il nostro obiettivo è andare avanti ma l’albero non si può spostare. Però, con un po’ di attenzione, è possibile aggirarlo uscendo dalla strada asfaltata per un breve tratto per poi ritornare in carreggiata.
In questo caso il problema è stato risolto senza rimuovere l’ostacolo sul nostro cammino: semplicemente abbiamo modificato il percorso.
Il problema, dunque, non corrisponde all’ostacolo, ma a una condizione in cui, a causa della presenza di ostacoli o impedimenti, siamo costretti a individuare nuove azioni, chiamate soluzioni, per raggiungere i nostri obiettivi.
In presenza di un ostacolo non possiamo raggiungere i nostri obiettivi procedendo secondo le conoscenze o le esperienze precedenti. Dunque, per arrivare alla soluzione, è necessario un cambiamento nel nostro modo di vedere e sentire le cose o nei nostri comportamenti, che ci consenta di raggiungere gli obiettivi.
Il Problem Solving ci aiuta a individuare di quale cambiamento abbiamo bisogno e a metterlo in atto.
Rimuovere, aggirare o utilizzare l’ostacolo?
Non sempre il cambiamento richiesto dalla situazione corrisponde alla rimozione dell’impedimento. Esistono infatti diversi modi per affrontare un ostacolo:
- rimuoverlo
Per alcuni problemi la soluzione più semplice, se praticabile, è rimuovere l’ostacolo in quanto rappresenta un peso inutile. Ad esempio, ci togliamo il maglione se abbiamo troppo caldo, ci documentiamo se dobbiamo tenere una lezione su un argomento che non conosciamo approfonditamente.
- aggirarlo
In altri casi, è più proficuo non tenere conto dell’ostacolo, praticando altre strade. Ad esempio, se il nostro lavoro non ci fa guadagnare abbastanza, cerchiamo un altro lavoro o dei lavoretti saltuari per arrotondare.
- utilizzarlo
Alcuni ostacoli non possono essere eliminati o aggirati ma, se osservati da un’altra prospettiva, possono addirittura diventare una risorsa: una piccola azienda che non è in grado di espandersi può decidere di puntare sulla qualità del suo prodotto.
Le fasi del Problem Solving
Il processo di Problem Solving si suddivide in quattro fasi, che si articolano in vari passaggi intrecciati fra loro. Vediamole in sintesi:
FASE 1: Identifichiamo il problema e il nostro obiettivo:
• Definizione dell’obiettivo.
• Analisi degli ostacoli.
FASE 2: Generiamo le possibili soluzioni:
• Generazione delle idee (brain storming).
• Trasformazione delle idee in soluzioni.
FASE 4: Mettiamo in pratica:
• Esecuzione del piano.
• Valutazione dei risultati.
Le quattro fasi sono consequenziali: seguirle nella loro progressione ci consente di impostare correttamente il problema e di chiarire alcuni atteggiamenti o aspetti che ci confondono, impedendoci di trovare delle soluzioni.
Non pensiamo però che il Problem Solving sia un processo interamente razionale e lineare, come una specie di “catena di montaggio del pensiero”. Al contrario lo scopo del Problem Solving è aiutarci a integrare le nostre risorse, sia quelle logiche e critiche, sia quelle creative indispensabili per arrivare alla soluzione.
In particolare la creatività e l’intuizione sono il cuore della seconda fase: dopo aver identificato i nostri obiettivi e i reali ostacoli al loro raggiungimento, dobbiamo lasciare la mente libera di creare idee, immagini, collegamenti, prendendo nota di tutto ciò che ci passa per la testa senza criticarlo o analizzarlo (brain storming). Solo dopo ci preoccuperemo di come le idee potranno essere effettivamente realizzate e di tutti i possibili limiti e problemi del progetto.
Problem Solving per problemi emotivi e interpersonali
Anche quando non si tratta di problemi pratici ma emotivi o interpersonali, i principi fondamentali del Problem Solving rimangono, con alcuni adattamenti, gli stessi.
I problemi interpersonali nascono dalle difficoltà di relazione con gli altri. Ad esempio, si possono verificare quando non esprimiamo con chiarezza i nostri obiettivi, quando questi non sono condivisi da altre persone, oppure nei casi in cui non riconosciamo agli altri il diritto di volere qualcosa.
I problemi emotivi sono quelli in cui sentiamo un forte senso di disagio e abbiamo bisogno di eliminarlo o ridurlo almeno in parte: ad esempio, quando ci sentiamo depressi, ansiosi oppure abbiamo paura di parlare in pubblico o non accettiamo il nostro aspetto.
Una delle ragioni per cui facciamo fatica a risolvere i problemi emotivi e interpersonali è la confusione tra problema e disagio: il problema non è il disagio. Il malessere che sentiamo è piuttosto un segnale dell’esistenza del problema, l’espressione di bisogni o difficoltà che, non trovando soluzioni migliori, si manifestano appunto attraverso le emozioni sgradevoli o dolorose. E’ per questo motivo che quando ci proponiamo di non provare una certa emozione, ad esempio la paura o l’imbarazzo, il più delle volte non riusciamo nel nostro intento. Dunque, è importante riuscire a identificare quali esigenze profonde si celano dietro le emozioni per arrivare a porci gli obiettivi giusti. Obiettivi positivi, non semplici negazioni dell’ostacolo.
Individuare obiettivi e ostacoli
Data la complessità delle emozioni e dei rapporti umani, spesso non è facile identificare l’obiettivo e gli ostacoli al suo raggiungimento ma il Problem Solving può venirci in aiuto con numerose tecniche.
Una di queste è la “domanda del miracolo” ideata da alcuni ricercatori inglesi per focalizzare gli obiettivi. Consiste nell’immaginare la seguente situazione:
Se domani mattina mi svegliassi e, per miracolo, il problema non esistesse più, come me ne accorgerei? Come vedrei il mondo? Cosa farei nel corso della giornata? Che progetti farei per il futuro? Come mi descriverei in questa nuova situazione?
Cerchiamo di rispondere immedesimandoci il più possibile in questa ipotetica liberazione dal problema. Saranno le sensazioni provate a farci capire se quello che abbiamo immaginato ci soddisfa veramente e dunque rappresenta l’obiettivo o se in realtà stiamo cercando qualcosa di diverso.
Un’altra tecnica, questa volta per individuare gli ostacoli, consiste nell’identificare delle “situazioni tipo” in cui sperimentiamo il problema con i suoi ostacoli e nel cercare di descriverle in termini di immagini, sensazioni corporee e dialoghi interni.
Ad esempio, se riteniamo che il nostro problema sia parlare in pubblico, possiamo pensare a cosa succede quando ci capita di farlo durante una riunione di lavoro. La descrizione potrebbe essere pressappoco così: “quando prendo la parola e tutti iniziano a guardarmi, le gambe cominciano a tremare, sento un gran caldo e la fronte si copre di sudore.
Mi imbarazza sapere che gli altri mi osservano mentre sono tutto sudato, ma cerco di far finta di niente per non evidenziarlo ancora di più. Quasi involontariamente, abbasso il tono della voce e faccio fatica a trovare le parole per esprimere anche i concetti più semplici…”.
Come si può vedere, più la descrizione è particolareggiata e attenta ai segnali lanciati dal corpo, più diventa semplice individuare i vari ostacoli che aggiungono stress al problema: ad esempio, lo sguardo degli altri puntato su di noi o la reazione psicofisica del sudare, con l’imbarazzo che ne consegue.
E la soluzione?
Anche per quanto riguarda la ricerca delle soluzioni, il Problem Solving mette a disposizione varie tecniche la cui scelta può dipendere dal tipo di problema e dalla personalità di chi si trova ad affrontarlo.
E’ importante precisare che le soluzioni a problemi emotivi e interpersonali non sono solamente azioni da compiere, ma delle vere e proprie rielaborazioni del nostro modo di vivere alcune esperienze. Per questo motivo, in alcuni casi l’impiego del Problem Solving acquisisce efficacia nell’ambito di un intervento di counselling che può fornire a chi vive un profondo disagio il supporto adeguato per superare la confusione emotiva e la dispersione delle energie.
Cambiamo le convinzioni o i comportamenti?
Come abbiamo detto, la chiave per arrivare alla soluzione si trova in un cambiamento nel nostro modo di vivere certe esperienze. Ma da dove cominciare per realizzare un tale cambiamento? Non esiste una risposta assoluta: in alcuni casi il cambiamento potrebbe partire dalle convinzioni che influenzano le nostre emozioni e comportamenti.
Ad esempio, per chi si considera una persona incapace la soluzione potrebbe trovarsi nel lavorare sulla propria autostima. In altre situazioni, potremmo invece iniziare modificando il comportamento, le risposte corporee per arrivare a un cambiamento nelle convinzioni.
Ad esempio, il sentirsi ansiosi quando ci troviamo in posti nuovi o in mezzo a persone che non conosciamo potrebbe dipendere dalla convinzione inconsapevole che “siamo in pericolo”. In tal caso può essere utile superare questa idea negativa partendo dal corpo, addestrandoci a rilassarci proprio nelle situazioni che temiamo.
Il cambiamento avvenuto nella nostra reazione automatica (l’esserci rilassati) può produrre un cambiamento nella cognizione, che diventerà, appunto, “sono al sicuro”.
In conclusione
Abbiamo visto che, nei problemi emotivi e interpersonali, la risoluzione è soprattutto un percorso di ascolto e di dialogo interno. Il sovraccarico emotivo rende queste situazioni particolarmente difficili da affrontare, spesso genera confusione ma, allo stesso tempo, è un forte segnale che ci spinge a cambiare qualcosa.
Con il Problem Solving, nell’ambito di un aiuto professionale, possiamo individuare le nostre vere esigenze, mettere ordine a pensieri e comportamenti e arrivare più facilmente a una soluzione che ci consenta di star bene con noi stessi e con gli altri.