sabato 18 marzo 2023

Torna la suggestione del Ponte

È deciso: si farà. Stavolta, si farà. Ne siamo certi?
Questo refrain lo abbiamo sentito spesso, ai nastri di partenza di ogni singolo governo di cdx. Ma perché stavolta dovrebbe essere diverso? Perché Salvini, che capisce di infrastrutture quanto io ne capisco di fisica nucleare, quello che ha avuto l’insensibilità di presentarsi a Cutro con la carpetta sottobraccio con la scritta “ponte” in bellavista a favore di obiettivi e telecamere, dovrebbe riuscire laddove non sono riusciti Craxi o Berlusconi, che al suo cospetto erano dei giganti? 
Uno che presenta come “green” l’opera a maggiore impatto ambientale che sia mai stata pensata in Italia, con mc di calcestruzzo equivalenti alla costruzione di una grande città da zero, che parla a vanvera di CO2 e di inquinamento marino senza considerare lo scempio sulle due sponde.
Il faraone vuole la sua piramide e poco importa se attorno ci sarà il deserto.
Vuoi mettere un selfie o una diretta dai cantieri? Si perché dal ponte completato la vedo dura...Per adesso  per decreto, il Governo Meloni ha riattivato la costosissima Stretto di Messina S.p.A., riversando ulteriori soldi pubblici in un’attività che in 40 anni non è riuscita a proporre e presentare un progetto che andasse oltre il preliminare, qualche modellino per le foto di rito e qualche rendering video. 
La sismicità del sito? La quantificazione dei costi? Le connessioni del Ponte con le infrastrutture territoriali? L'utilità di un attraversamento stabile la cui realizzazione è una strada piena di insidie ed incognite? Sembra non interessare al ministro tiktoker. 
Torna la suggestione ed inevitabilmente torna un dibattito stanco e fuorviante tra sipontisti e nepotisti. 
Nel frattempo le strade e le ferrovie calabresi e siciliane rimangono quelle di sessant’anni fa.
Ah, a proposito, chiedo per un amico, la felpa "PONTE" l'ha già sfoggiata? 

lunedì 14 marzo 2022

E Taranto si accorge di avere un panorama da tutelare...

Nelle scorse settimane è stata installata la prima di 10 pale eoliche marine, per un totale di 30 MW, nel porto di #Taranto
Si tratta del #primo #impianto #eolico #offshore nel mare #italiano, anzi in tutto il Mediterraneo.

Autore: mafe de baggis

Ma non è il ritardo nei confronti di altri Paesi come l’Olanda o la Gran Bretagna, che solo nel 2020 hanno incrementato di 1,5 gw la potenza installata relativa all’eolico offshore, la parte tragicomica della notizia.
E’ la paradossale follia del percorso autorizzativo a saltare all’occhio! 
La proposta di installare pale eoliche nello specchio d’acqua di fronte a Taranto viene presentata nel 2008 (ben 14 anni fa). 
La #Sovrintendenza è riuscita nell'impresa di dare #parere #negativo per “l’impatto visivo generato”. 
Peccato che proprio lì davanti ci sono le #ciminiere dell'ex Ilva, della raffineria Eni e del cementificio e le #gru del porto industriale!!! Non proprio un paesaggio immacolato…
Mi viene in mente la battuta dialettale "dopu chi si robbaru a Santa Chiara, nci misimu i porti i ferru a Cresia". Parafrasando diciamo che dopo aver tollerato l'indicibile, in termini di inquinamento, visivo, ambientale, atmosferico, acustico e chi più ne ha più ne metta, facciamo le pulci all'eolico offshore. Per di più in un momento come questo in cui abbiamo "fame" di energia. 
Credo che in un momento storico come questo, in cui a causa della dipendenza dalle fonti fossili (che dobbiamo importare, ricordiamocelo, e ricordiamo quanto le giuste sanzioni imposte alla Russia stiano mettendo a dura prova il sistema energetico italiano) i costi stanno crescendo in maniera esorbitante diventando un problema serio per imprese e famiglie, il Governo debba in via del tutto prioritaria sbloccare le decine di pratiche giacenti tra Ministeri e Regioni, per l’installazione degli impianti di produzione da fonti #rinnovabili, con apposita decretazione d’urgenza (che tanto è in voga, magari usiamola anche per questo) che semplifichi e snellisca le procedure. 
Occorre certamente tenere in debita considerazione l’importanza della tutela del paesaggio, evitare l’anarchia e l’installazione selvaggia, ma occorre anche usare il buon senso ed innovare il Paese, puntando alla totale decarbonizzazione e possibilmente alla conversione dei progetti di centrali a gas naturale in programmi sulle rinnovabili.

Ilva di Taranto - foto Creative Commons


venerdì 11 marzo 2022

Sottosuolo e servizi a rete. L'importanza della pianificazione

La recente tragedia di Ravanusa riaccende i riflettori sulla questione dei servizi a rete, oltre che sul troppo spesso sottovalutato problema della manutenzione carente del sottosuolo urbano. 
Eppure i servizi a rete sono per le città ed i paesi, quello che i sistemi circolatori sono per gli umani: un apparato complesso che apporta, scarica e depura linfa vitale per la città e i suoi abitanti. 
Parlo di servizi come l'acqua, la fognatura, il gas naturale, l'energia elettrica, la rete telefonica e la fibra ottica, l'illuminazione pubblica; reti, “grids”, fasci di tubi e cavidotti vitali per la città ma di cui normalmente non abbiamo contezza. Il perché è semplice: la maggior parte collocati nel sottosuolo. 
Ce ne accorgiamo dai “segni” visibili in superficie, conseguenza, molto spesso, di una discutibile esecuzione di lavori di installazione e manutenzione. 
Decine di chilometri di reti, spesso realizzate nei decenni, a volte nei secoli, con tecnologie costruttive diverse, materiali diversi, a diversa quota, coesistono per garantire ciò che per chi sta in superficie è apparentemente ovvio: far defluire l'acqua aprendo il rubinetto o tirando lo sciacquone, consentire l’accensione di una lampadina o di un fornello da cucina, navigare su internet, ecc… 
Insomma sotto un’epidermide d’asfalto, pulsa questa parte di città. Una parte importante ma spesso sfruttata e dimenticata. 
E’ urgente invece occuparsene, compiere una riflessione critica sulla mancanza di una pianificazione ipogea e gettare le basi per un nuovo e più razionale uso del sottosuolo, avendone cura ed affrontando le evidenti problematiche tecniche che non sempre è stato possibile affrontare perché si è preferito, letteralmente, spazzare la polvere sotto il tappeto. 
In primis è necessario avere un quadro chiaro ed informazioni dettagliate e qualitativamente soddisfacenti sul numero e la tipologia di servizi presenti nel sottosuolo. 
Parallelamente urge un’indagine sulle caratteristiche geomorfologiche del sottosuolo stesso, ricordando che gli strati superficiali sono, molto spesso e specie nel centro storico, il frutto degli sconvolgimenti causati dai sismi nel corso dei secoli e delle successive ricostruzioni. 
Questa fase è una precondizione necessaria a qualsiasi ipotesi di riorganizzazione dei servizi a rete in infrastrutture tecnologiche sotterranee che possano accogliere, nel loro insieme od in parte, le reti. 
E’ evidente che oltre alla volontà occorreranno ingenti risorse per portare a compimento una serie di progetti innovativi ad alta concentrazione di tecnologie. Io Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede, tra le sue linee di intervento, l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi e dei sottoservizi nei centri urbani. Questa azione sarebbe attivabile con i progetti sulle infrastrutture e la mobilità, sulla rigenerazione urbana, sull’innovazione digitale, sulle comunità energetiche. Insomma, se si volesse intervenire, se questo “problema” fosse percepito come una cosa seria, gli ambiti di intervento sarebbero molteplici. 
Inoltre va considerato che interventi qualificanti sul sottosuolo, innalzerebbero la capacità gestionale della città e, conseguentemente, la qualità della vita. 
Basti pensare alla riduzione dei costi, anche sociali, che si avrebbe eliminando le continue manomissioni delle strade a causa del mancato coordinamento degli interventi. 
Oppure alla garanzia che si avrebbe nella regolarità e nella continuità dell’erogazione dei servizi, avendo l’opportunità di individuare subito eventuali guasti gelolocalizzati. 
E pensiamo ai benefici che si avrebbero in termini di riduzione dell’inquinamento del sottosuolo e dei corpi idrici, oltre che dalla tutela e possibile valorizzazione dei ritrovamenti archeologici. 
Concretamente, bisognerebbe puntare alla gestione del sottosuolo stradale mediante uno strumento parallelo alla pianificazione di superficie. Una sorta di addendum al Piano Generale del Traffico Urbano e, più in generale al Piano Strutturale Comunale. 
Non ci sono solo le reti, nel sottosuolo. Potrebbero, anzi, sono in previsione, sorgere parcheggi ed autorimesse sotterranei, punti di stoccaggio merci ed altre attività che non trovano più spazio al di sopra delle strade. 
Comprendo bene che parlare di strumenti urbanistici specialistici in una Regione in cui su 404 Comuni, nemmeno il 10% è dotato di un Piano Strutturale Comunale, può sembrare utopistico, quasi pleonastico. Ma l’attualità ci sbatte in faccia la realtà: il sottosuolo ed i servizi che accoglie non possono essere trattati come abbiamo fatto fino ad oggi e continuiamo a fare. Ravanusa, come detto, ne è purtroppo l’ultimo tragico esempio.